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A pugni chiusi

ore 20.15 / movieplex - mercogliano

lunedì 12 dicembre
ore 20.15
movieplex
mercogliano

a seguire Incontro con l’autore e Lou Castel


Regia: Pierpaolo De Sanctis
Produzione: InthelFilm
Soggetto e Sceneggiatura: P. De Sanctis, Alessandro Aniballi, Giordano De Luca
Genere: Documentario
Durata: 74 min.
Ero come uno zombi, ripete più volte Lou Castel raccontando del periodo in cui la sua carriera era sprofondata sempre più nella pratica industriale della catena di montaggio del cinema-b, e da zombi chiamai Bellocchio per Gli occhi, la bocca. In effetti, i peregrinaggi dell’attore per le campagne romane e le architetture più svuotate e stranianti della città, che costituiscono l’ossatura del documentario di Pierpaolo De Sanctis, ricordano apertamente quel risveglio dalla morte che chiude il magnifico film di Bellocchio del 1982, con Castel risorto dalla tomba che vaga per una Bologna sospesa, spettro che anticipa l’Aldo Moro di Buongiorno, Notte (e con la voce italiana dell’interprete bellocchiano Sergio Castellitto…).
Anche questo Lou Castel, “un altro Lou Castel” come dice l’attore, forse ancora un ulteriore gemello dei due di Gli occhi, la bocca, si aggira per le immagini di A pugni chiusi come proveniente da una dimensione parallela, quello che gli si para davanti su questo piano di realtà (le case, gli scorci di Roma come il gazometro, gli oggetti trovati per terra) viene istantaneamente traslato attraverso una serie di connessioni invisibili, astratte, che Castel veicola con le sue parole, le sue confessioni, gli aneddoti, i ricordi, le performance estemporanee in cui rivive per potentissimi istanti la formazione nella guerriglia delle avanguardie (il frammento più sorprendente dell’apparato del repertorio, fatti salvi i dispacci del Bellocchio maoista, è sicuramente il Grifi di Transfert per kamera verso virulentia, 1967).
Il lavoro di De Sanctis conferma lo sguardo assolutamente personale dell’autore (la passione per gli spazi metafisici della Capitale già vista in un bel corto di qualche anno fa, Nell’occhio di Venere) anche nel percorso sul racconto biografico, e riesce ad innervare di animo militante e sovversivo frammenti spuri di un cinema oramai scomparso, di foga produttiva pericolosamente onnivora: più che una ricostruzione ne viene fuori una reinvenzione, con la complicità di Castel che si dona senza remore, e si butta con coraggio di struggente incoscienza contro il drone con cui De Sanctis lo pedina senza posa.
La messa a nudo operata dall’attore è spesso disarmante, e il regista riesce a mantenersi sempre un passo indietro da ogni accenno di patetismo (rinunciando a volte anche alla pulizia della forma, increspata da entrate in campo del dietro le quinte e dell’impalcatura ai lati, come il momento della caduta di Castel con Pierpaolo che compare in scena per dargli una mano a rialzarsi, un attimo prima dello schermo nero).

Presentato al Torino Film Festival 34 nella sezione “Italiana.DOC”

 

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