Da autodidatta ha costruito con cura e pazienza l’impalcatura del suo cinema. E proprio per questa precisione il regista Luca Ferri, più volte ospite e vincitore del Laceno d’Oro, non ha esitazioni a definirsi: “Non sono un cinefilo. Mi interessano l’architettura e le parole”. Seguendo il percorso delle sue parole, continuiamo il tragitto di ricordi e riflessioni fino alla prossima edizione del festival.
Il Laceno ha ricominciato a lavorare per l’edizione 2022, tu che sei stato già ospite che ricordo hai del Festival?
Un ricordo piacevole, perché gestito da persone competenti. Aspetto sempre più raro nel nostro panorama odierno. Ricordo con affetto indelebile la serata in cui venne proiettato Sedução da Carne.
Quale dei tuoi lavori il pubblico del Laceno ha avuto il piacere di vedere?
Diversi lavori per mia fortuna, su tutti citerei Colombi, Pierino oppure Mille cipressi con cui ho anche vinto l’ultima edizione nella sezione Gli occhi sulla città.
Come definiresti il cinema e i film che hai trovato al Laceno, e cosa pensi che abbia in comune con la tua arte?
Uno dei più bei ricordi legati al cinematografo è successo proprio ad una passata edizione del Laceno d’Oro, quando in una proiezione pomeridiana di un mio lavoro, Pierino, trovai in sala Julio Bressane, con cui poi la sera seguente ebbi l’opportunità di confrontarmi. Mi sembra un aspetto prezioso quello di creare situazioni di interazione tra gli ospiti indipendentemente dalla proiezione.
A cosa stai lavorando in questo momento?
A diversi lavori che rientrano nella pentalogia dell’assenza. Sono Vita terrena di Amleto Marco Belelli, un film che incontra attraverso la distanza la figura del divino Otelma, Ludendo Docet, un piano sequenza di 70 minuti interrotto da 5 controcampi girati da Luca Sorgato, che è un manifesto programmatico del mio fare cinema; infine ad un lungometraggio di finzione dal titolo provvisorio Il damo che ruota intorno alla scelta savia di un uomo che decide di smettere di parlare. Un lavoro sulla rassegnazione, sulla disposizione virtuosa di chi si adegua consapevolmente ad uno stato di dolore o di sventura.